C’era una volta la cicala innamorata. Il suo nome era Clelia.
Nelle afose notti d’estate se ne stava sola soletta in un cespuglio di giunchi. Le piaceva ascoltare il fruscio delle foglie agitate dal vento e veder brillare il laghetto lì vicino alla luce della luna. A differenza delle sue piccole amiche, non amava molto le feste preferendo di gran lunga contemplare la natura che la circondava.
C’era qualcosa però che la tratteneva in quell’angolino di piante acquatiche. Era un canto soave che le riempiva il cuore di gioia e spensieratezza. Lo sentiva tutte le sere senza sapere da dove provenisse, finché non scoprì che il misterioso cantante era un usignolo. Il suo cinguettio la affascinava.
Una sera l’uccellino si avvicinò al cespuglio di giunchi dove la cicala se ne stava nascosta, ma lei fu troppo timida per avvicinarglisi. Clelia non si sentiva alla sua altezza. Era troppo piccola ed insignificante per essere notata da lui. Per di più il suo frinire non era affatto paragonabile a quello splendido cinguettio. Il piumaggio dell’usignolo inoltre era variopinto, mentre lei a stento si distingueva tra le piante.
Successe però che un giorno Clelia volle trovare il modo di farsi notare. Decise di provare a rendersi simile a lui. Costruì con delle foglie delle ali più grandi e cercò di rendersi più bella cospargendosi di polline. L’usignolo la notò fra gli alti giunchi ma, quando decise di avvicinarsi, un forte soffio di vento fece volare via le finte ali e ogni altro ornamento che la cicala aveva indossato.
Così Clelia, cercando di recuperare quanto era sparso in aria, perse l’equilibrio e scivolò dal giunco su cui era appoggiata. L’usignolo l’afferrò prima che cadesse nel laghetto vicino e la riportò nel cespuglio.
“Cosa stavi facendo?“, le chiese.
“Cercavo di essere più bella“.
“Perché?”
“Perché tu mi notassi“.
Clelia trovò la forza di confessare i suoi sentimenti.
“E credi di essere più bella cercando di diventare ciò che non sei?“, ribattè l’usignolo.
“Non sapevo come attirare la tua attenzione. Tu canti in maniera splendida, mentre io so solo frinire“.
L’uccellino, guardandola intensamente, le disse:
“Non è vero sei speciale. Hai avuto il coraggio di confessare i tuoi sentimenti, di essere te stessa. Non hai bisogno di essere diversa per farti notare. Tu mi piaci perché sei spontanea e, sai, molte volte mi sono addormentato qui tra i giunchi al frinire di una cicala.
Forse eri proprio tu. C’è qualcosa di magico nel tuo verso. Mi fa pensare al sole che splende e che dà speranza anche a quelli che, come me, vengono spesso catturati dagli uomini e costretti a cantare in una gabbia. Ti ringrazio per esserti mostrata a me“.
La cicala e l’usignolo continuarono a parlarsi per ore, finché non si addormentarono felici alla luce della luna. Il piccolo paradiso acquatico aveva accolto due ospiti speciali che non avrebbero mai smesso di cantare l’uno per l’altra.
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Vittoria Starace
Dottoressa in Filologia, letterature e storia dell’antichità.
Mariarosa Grieco
Speaker per passione