Tra le migliaia di fiabe scritte da Gianni Rodari, ce ne sono tre fiabe con animali, in particolare di animali che non possono vivere in libertà, ma sono costretti dagli uomini a dare spettacoli per altri uomini. Ve ne facciamo leggere tre, contenute nel libro Fiabe lunghe un sorriso edito da Einaudi Ragazzi. Ovviamente il consiglio è di acquistare questo libro che ne contiene tantissime, per bambini dai 6 anni in poi.
1) LA DANZA DELL’ORSO
<< L’orso Booro era stato catturato quando ancora non sapeva avventurarsi da solo fuori della caverna in cui viveva con i suoi genitori. Fu venduto al proprietario di un circo equestre che lo affidò ad un domatore perchè gli insegnasse a danzare. Sapete come si insegna ad un orso a ballare? È una cosa crudele. Si distende a terra uno strato di carboni accesi e lo si costringe a passarvi sopra, mentre qualcuno li vicino suona una zampogna o un piffero.
Dopo due o tre ore di prove, ogni volta che sente il piffero o la zampogna, l’orso si ricorda del fuoco che lo ha scottato, si agita, si muove sull’uno e sull’altro piede come se ancora stesse camminando sui carboni ardenti.
E questa danza dolorosa è così goffa che nessuno la può vedere senza ridere.
Finita la danza, Booro veniva ricondotto nella sua gabbia. Alla caviglia destra gli avevano legato una catena che non lo abbandonava né di giorno né di notte. Una volta nel suo stesso circo Booro poé incontrarsi con un vecchio orso che era stato catturato quasi adulto, e si chiamava Ruubi.
Esso aveva trascorso molti anni in prigionia, ma non aveva dimenticato mai le libere foreste che Booro aveva appena intraviste. – Gli alberi respirano sulla tua testa, la neve scricchiola sotto i tuoi piedi, e a primavera le acque trasportano i ghiacci con fracasso giù per le valli: alzi il naso e un milione di buoni odori ti entra nella pancia.
– Che cosa sono i buoni odori? – domandò Booro che non li aveva mai sentiti.
– Disgraziato, tu non hai conosciuto la felicità. Io sono troppo vecchio ormai per tentare la fuga, – aggiunse Ruubi,- ma tu sei giovane e forte. Perchè non te ne vai?
Parlarono spesso di questo progetto, e una volta che il circo si era venuto a mettere in una città di montagna proprio al margine dei boschi, Booro decise di tentare la fuga. Quando il domatore lo fece uscire dalla gabbia e lo condusse in mezzo all’arena, Booro si guardò attorno, per assaporare l’ultimo applauso, poi come se niente fosse si diresse verso l’uscita.
Gli spettatori ridevano, ma le loro risate si mutarono tosto in grida di terrore quando si accorser che Booro camminava decisamente su di loro, come se non li vedesse. La folla si aprì per lasciarlo passare, e già Booro stava per raggiungere l’uscita, già affrettava il passo per mettersi a correre verso i boschi, quando alle sue spalle una zampogna ed un piffero cominciarono a suonare.
Una mano invisibile afferrava Booro al collo, lo trascinava indietro ierresistibilmente. Senza quasi avvedersene, Booro si fermò, i suoi piedi si mossero su se stessi, segnando goffamente il passo.
Booro danzava e gli spettatori tornavano ai loro posti ancora sospettosi. Danzando, Booro vedeva distese di neve, boschi, fiumi, sentiva i profumi che il vecchio Ruubi gli aveva descritti. Il suo cuore si tendeva appassionatamente verso la libertà, ma i suoi piedi si alzavano e si abbassavano sul ritmo della canzone. Quando la musica tacque, Booro rimase un momento immobile. Poi cadde a terra, come fulminato. La prigionia lo aveva ucciso. >>
2) GLI ELEFANTI EQUILIBRISTI
<<L’anno scorso capitò dalle mie parti un circo equestre, ricco di ogni genere di attrazioni. Il più bel numero dello spettacolo era il seguente: quattro elefanti ne prendevano un quinto con le loro proboscidi e lo sollevavano in alto. Il quinto elefante, per non restare ozioso, afferrava con la proboscide un gatto e lo faceva rimbalzare come una palla.
La gente non si stancava mai di ammirare quell’esercizio, e più volte, durante la serata, si metteva a gridare a gran voce: – La piramide! Vogliamo la piramide!
Allora il direttore del circo chiamava i cinque elefanti e lo spettacolo ricominciava. Dovete però sapere che il gatto era un terribile vanitoso. Quando la gente applaudiva si inchinava da tutte le parti: ritto sulla proboscide del quinto elefante, faceva le fusa, si arricciava i baffi, salutava con la coda.
Insomma, si prendeva lui tutta la gloria, e agli elefanti diceva: -Poveretti, se non fosse per me non avreste che fischi. Sentite che applausi? È tutto merito mio, bestioni! Ringraziatemi come si deve!
Gli elefanti portavano pazienza e non gli rispondevano nemmeno. Una volta però il fatto pretese addirittura, al termine dell’esercizio, di fare un discorso al pubblico.
– Signore e signori, vi prego di scusare questi cinque zucconi buoni a nulla, che non sono capaci di farvi divertire. Per fortuna ci sono io e.. Ma non fece in tempo a finire il discorso, perchè l’elefante che lo reggeva sulla proboscide, con una leggerissima spinta, lo mandò a ruzzolare sulpalco della banda. Il gatto finì che nella bocca di un trombone, tra le risate del pubblico. E, finito lo spettacolo, scappò dal circo senza nemmeno farsi dare la paga.
3) IL CAVALLO AMMAESTRATO
<< Un saltimbanco ammaestò un cavallo alla perfezione. Gli aveva insegnato a scegliere tra le lettere dell’alfabeto, scritte su grossi cubi di legno, quelle che formavano il suo nome Pègaso. Quando cominciava lo spettacolo, il saltimbanco domandava: – Signor cavallo, comincia il ballo. Volete dirmi come vi chiamate?
e Pègaso, con sapienti colpi di zoccolo, sceglieva una dopo l’altra la P, la E, e così via, fin che sei cubi in file scrivevano a lettere rosse il suo nome squillante come un suono di tromba.
La gente scoppiava in applausi. Nelle ore di riposo, il saltimbanco insegnò a Pègaso anche il proprio nome, che era Teodoro. Quando fu ben sicuro che il cavallo sapeva scrivere anche questa parola senza sbagliare, cominciò a dare nuovi spettacoli sulla pubblica piazza.
– Signor cavalo, presto al lavoro. Qual è il il mio nome?
– TODORO – rispondeva il cavallo: non con la voce, certo ma scegliendo i sette cubi di legno con le lettere T, E, O, eccetera. Bisogna dire però che Teodoro non era una persona per bene, e quando poteva allungare le mani sulla roba degli altri non si faceva pregare. Una volta, per esempio, rubò tutte le lampadine del villaggio, e fece restare allo scuro tutte le strade. Il Sindaco diventava matto a cercare il ladro ma non riusciva a trovarlo.
Una sera, mentre il saltimbanco dava spettacolo in piazza, tra i presenti vi era il Sindaco. Ad un tratto egli balzò in mezzo alla pista, diede uno zuccherinao al cavallo e gli domandò: – Cavallo, cavallone mi sai dire il nome del ladrone?
A queste parole tutti i presenti tacquero.
Pègaso rimase un poc imbarazzato, perchè capiva soltanto il linguaggio del suo padrone. Ma poi, per non fare brutta figura, cominciò a scegliere i cubi dell’alfabeto. Sclese una T, poi una E, poi una O… Sapete che scrisse? TEODORO.
Il povero saltimbanco diventò tanto rosso che si capì subito chi era stato il ladro. Così Teodoro fu messo in prigione e Pègaso si pese una medaglia. Ora è allevato a spese del Comune, e il maestro di scuola gli insegna a scrivere: VIVA IL SINDACO.
Su Rai Radio Play, puoi ascoltare tutte le audio fiabe di Fiabe lunghe un sorriso.
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